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venerdì 8 febbraio 2013

Gino, 4 pesie: Vino; escort; anelli percing; pianoforte..

 

 

 4 Divertenti poesie. di Gino Del Giudice:
Vino; l'escort; l'anello tribale; il mio pianoforte.

VINO

Dall'alba del mondo
sei nerbo giocondo,
uno spicchio di vita,
discreta, gradita.


Sei cibo assai grato,
di tutto il Creato;
tu nutri l'umano,
tendendo la mano.




 

Nel mesto dì, usato
che muti in alato,
olente, qual fiore,
hai forza e ardore

Pur lieve, sereno,
qual dono al terreno,
hai tempra sicura,
vivace natura.

 

Con magica essenza
dell'onnipotenza,
possiedi l'umore
e  messaggio d'amore.

Pozione sincera,
il dì e la sera,
tu cangi le pene
rendendole, amene.

T'affianco al desco
qual magico affresco.
Io vedo nel vino
il segno
DIVINO 






Gino Del Giudice

 

 

 

L'ESCORT

 

 

Antica quanto il mondo,

eterea professione,

allegro girotondo,

è la prostituzione,

per cui la donna cede,

il corpo per mercede.

 

 

Baldracca, meretrice,

o d'alto borgo, troia,

hanno egual matrice;

per guiderdone e noia,

eseguon l'empio rito,

con l'uom ringalluzzito.

 

Epiteti grevi, indegni,

son per la “classe”,offesa,

di scherno e viltà pregni.

L'escort addì è difesa,

di questa “casta”umana,

sì, non è più Puttana.

 

Gino Del Giudice

 
 

L’ANELLO TRIBALE

 

 

Un tempo vi era l’uomo primitivo;

l’anello aveva al naso ed anche al “muso”.

L’uomo “civile” invece, non aduso,

a tal costume umano assai retrivo,

l’anello s’infilava solo al dito.

 

Inoltre quel selvaggio, a tutti inviso,

si tatuava il corpo ed anche il viso,

senza un perché e senza alcun motivo.

 

Ma dopo molti anni il “progredito”

del primo esso diviene più “ selvaggio”;

il tatuaggio usa e poi “ pudico”,

s'infila tanti anelli, ma da saggio:

al labbro, alla lingua e all’ombelico.

L'anello ora è per l'uomo, gran retaggio.

Gino Del Giudice

 

 

IL MIO PIANOFORTE

Se a lui m'accosto mi risponde a “tono”,
tosto ricerca ansioso la mia mano;
non è come io son, non è umano;
anche se lo trascuro è vieppiù buono.

La voce sua, inveterato dono,
ha timbro “profondissimo e sovrano”;
col verso delicato, Pascoliano,
pronto è ad offrirmi istanti d'abbandono.

Con gli “ottantotto” suoi ideogrammi,
simbiosi brama lieto col mio cuore,
dividere con me vuol gioie e drammi.

Con ansia ei m'attende a tutte l'ore
devoto a render lievi i miei programmi;
talor da lui plasmato cangio umore.

Leale mio tutore.
Se non gli parlo è muto, non ha sorte.
Prezioso amico è il “mio pianoforte.

Gino Del Giudice

 

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