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venerdì 12 giugno 2015

Gino: Omaggio all'amico di cognome CIUCCIO e.. ricordiamo Gìne d'ù pésce




In questa pagina, Gino Del Giudice, fa un "ritratto ammirato" di una bella persona, nostro concittadino, di cognome CIUCCIO, che porta  il suo "casato con orgoglio, al contrario di tanti di noi che, quando veniamo  "apostrofati" col nostro soprannome (piacevole o meno) sembriamo inalberarci, se non proprio offenderci. 

Ripeto, questa "bella persona" è stata, spiritosa e cordiale nel "vantarsi" del suo casato (Ciuccio); Gino ne è rimasto talmente impressionato da "fotografarlo" in questo suo breve sonetto. 

Segue in questa stessa pagina una poesia sempre di Gino dedicata ad uno dei personaggi "simbolo" della Statte che non c'è più: Gino Ferrarese alias "Gìne d'ù pésce".

Ma ora, ecco i versi che il "germano" ha dedicato a questa simpaticissima, intelligente ed autoironica persona.



ALL'AMICO  BENIAMINO CIUCCIO.

Da sempre ho avvertito d'esser CIUCCIO,
ma nelle innovazioni del progresso,
non me ne dolgo assai, lo confesso,
e innanzi tiro pur con qualche cruccio.

Nascondo la carenza col mezzuccio,
per non sembrare nell'uman consesso,
retrogade o ancor peggio proprio fesso;
e me la cavo invero non maluccio.
 

Ma un CIUCCIO ier di schiatta ho conosciuto,
tal BENIAMINO, che mi dichiarava,
di esser CIUCCIO autentico, vissuto.
 

Col documento lieto dimostrava,
d'aver CIUCCIO cognomen sempre avuto,
partenopeo di STIRPE, e si vantava.

E FIERO RITTO STAVA!
DI GENS RARA, AMICO GENUINO,
TI SENTO
 CARO CIUCCIO BENIAMINO.

Gino Del Giudice 
Statte 4 giugno 2015.

I fratelli Mastromarino alis "Petròlije"


Ed ecco la poesia di Gino Del Giudice, dedicata  a  "Gìne d'ù pèsce", persona affabile e grande lavoratore, padre di una numerosa prole che per decenni è stato l'unico pescivendolo di Statte. 

Di domenica, quando i nostri concittadini "non usavano mangiare pesce", in mattinata col suo carrettino vendeva "i lupini". Sembra di sentire ancora oggi, il suo simpatico richiamo "'u sopratàule, lupìne saléte". 
Persona indimenticabile. 


Gìne d’u pésce


Il "mitico" Gìne d'ù pésce (foto dell'archivio fotografico studio Pappone)
Gìne d’u pésce


Cammìse a quadrétte                            
brètèlle  a corpétte                                 
cazùne allarghète                                  
quèse 'mbijette terète.                           

C'a còpple, penzùse,                             
(sembrève c'u musù,                           
le scàrpe a cijabbàtte,                           
pesciaijùole  de Stàtte.                                   

'Na chèpa carijόle                                  
che 'nu parasόle,                                   
tìpe baldacchìne                                    
à spengéve Gìne.                                  

Spìsse a  'nghijanète                               
o ce s'ère stanghète                              
c'u fìsc'che chijamève,                          
e 'u  fresìgne aijutève.                           

Mullève 'a mazzétte                               
spengijàmme  'a carrétte,                      
vìnde o trènda lìre,                                 
le custève st'u gìre.   

Quànne se fermève                              
ca "fijàcche" gredève:                                     
"bélle  'u pésce uagné!                          
Accattàtevele mé!                                  

St'a nòtte peschète!                               
ijè bélle marchète!                                  
A' séccije, l'orète!                                   
Còzze a l'attemète!                                

'U vùrpe, 'u cuggiόne!                                     
Zuppe, capacchijόne!                            
Scòrfane, alìsce!                                    
'A sàrde pe frìsce!"    

Sémbe  sénza frétte                             
fermète 'a carrétte,
'a  velànze pigghijève
'ngartève e 'ngassève.

Cussì ògne  matìne,
'nnànze e réte de  Gìne:
da 'u pònde a la Chìjese
e che dùdece mìse.

Venerdì  pe crijànze,
da Chìjese ére usànze,
cumannève don Pàule
sule pésce a tàule.

E stève  'u marchète
Gìne cchijù azzemmète
què  bbàsce scennéve
ca cchijù affère fascéve.

De vìjerne o d'estète,
'u  paìjse à gerète,
c'u  sόle e c'u  vìjende
e fìnde ca nìjende.

S'à fàtte   anzijanòtte,
no  cchijù gijovanòtte,
no ijésse 'a  carijόle,
'a spadde  e le dόle.

Mό sté 'a peschérìje,
no cchijù   l'allégrìje
ca u'  "lùccle" de  Gìne
 mettéve a' matìne.

Rumène  'a  mèmorije.
n'u stùozze de stòrije,
de Stàtte ca crésce
ijé Gìne d'u' pésce.    

Gino Del Giudice 1992

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