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mercoledì 19 settembre 2012

ILVA: Parlano i lavoratori preoccupati per l'avvenire delle proprie famiglie!


Dopo gli ultimi avvenimenti (spegnimento di 2 forni, torri e batterie, blocco degli arrivi dei minerali) .... gli operai, sebbene abbiano preso coscienza del problema ambientale, sono molto preoccupati del loro avvenire. Parlano all'uscita della "portineria D".
Anche se si è acquisita la coscienza che la salute viene prima di tutto, lo spettro della disoccupazione è palpabile ascoltando gli operai dell’ILVA; e se anche l’azienda, (per bocca del suo presidente Ferrante) si è detta disposta a “mettere sul tavolo” 400 milioni per le bonifiche, ed è disposta a “coprire i parchi minerali”, fa capire che questo “impegno” è subordinato alla continuazione della produzione, sia pure in forma ridotta. Da notare inoltre che ambedue le promesse, sono per ora fumose perché la “copertura dei parchi minerali”  presuppone uno studio di “fattibilità” che richiederebbe almeno un anno di tempo, oltre a quello necessario per la materiale “attuazione).

Gli operai: «Abbbiamo tanta paura rischiamo la fine della Belleli»
(abstract dalla Gazzetta del mezzogiorno del 19 Settembre 2012 di FULVIO COLUCCI)
Gli operai ILVA:

 Franco, all’uscita della portineria D: La paura  nasce da una domanda: che fine facciamo? Lo sciopero? Siamo divisi, ora. C’è chi sta pensando ancora al Milan o alla Juve. Sono sulle nuvole, mentre tutto intorno brucia. Lo sciopero stavolta dovremmo farlo contro Riva se abbandonasse Taranto, lasciandoci senza lavoro. La magistratura fa il suo dovere, sì. E qui occorre risanare, mettendoci i soldi. Ma lo sciopero lo faremmo anche contro la politica, chi doveva controllare e imporre il rispetto dell’ambiente. E non lo ha fatto».
Il cronista: “voi siete stati i primi in trincea contro l’inquinamento; non vi siete accorti di quel che accadeva?”

Uno di loro: «Avevamo paura di parlare, c’era il ricatto occupazionale»: risponde secco uno di loro quasi liberandosi di un fardello portato troppo a lungo sulle forti e fragili spalle operaie. “Si faceva finta di non vedere e chi doveva porre la questione... I sindacati per esempio che ora, sia pur tra mille contraddizioni, aprono una vertenza. Gesto tardivo !!

Nicola: «Perché vogliamo lavorare» spiega,  «ma la salute viene prima di tutto, soprattutto prima della produzione, dei soldi che guadagna il padrone». «Siamo divisi...».
«È triste l’idea di fermare gli impianti, fanno parte di noi» aggiunge un ragazzo che la fabbrica te la fa vedere in un lampo: «Bonifiche? Posso smontare il gancio di un carro ponte e e tagliare a pezzi le travi con la fiamma ossidrica, ma un capannone, un capannone come lo smonto?».

Sergio ha spalle di operaio robuste e fragli insieme. E memoria per ricordare. Vent’anni proprio alla Belleli, l’azienda che costruiva piattaforme offshore per l’estrazione petrolifera, poi fallita. Sergio da undici anni è all’Ilva.  «Rischiamo la fine della Belleli. Le bonifiche? Chiacchiere. Se serve un esercito di manovali siamo qui. Ma serve? Non servono piuttosto operai specializzati? Le persone saranno licenziate e amen. I miei figli se lo ricordano il calvario Belleli».

L’epilogo potrebbe essere un film già visto. Una moviola con titoli di coda sul deserto rosso della deindustrializzazione tarantina di cui è emblema il desolato yard Belleli. Una lenta e lunga agonia: dai primi anni 90 al 2000, quasi il tempo di un’Autorizzazione integrata ambientale.

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